09 febbraio 2012

La legge dell'odio di Alberto Garlini

Pochi altri scrittori prima d'ora avevano affrontato prima l'argomento dell'eversione nera: mi viene in mente il bel libro di Patrick FogliIl tempo infranto” sulla strage alla stazione di Bologna, la massoneria, i servizi al servizio dell'antistato.
O anche il saggio di Roberto RaoIl sangue e la celtica che raccontava la galassia del neofascismo italiano con quei giovani cresciuti politicamente dentro le sedi missine, partendo dagli anni cinquanta (e la voglia di vendicare piazzale Loreto) fino agli anni 60. Quelli della lotta al pericolo rosso, dalla contestazione nelle piazze e nelle università. Fino al nero periodo della strategia della Tensione: la bomba a Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi (in realtà figlia a sua volta delle bombe scoppiate nell'estate del 69), piazza della Loggia, la bomba sull'Italicus.

La legge dell'odio si inserisce in questo filone letterario, raccontando l'educazione all'odio di uno di questi ragazzi, Stefano Guerra, cresciuto a Udine in quella generazione del primo dopoguerra. Il libro si sviluppa su due piani: il presente ambientato nel 1985 a Milano, durante il processo contro Franco Ravel, esponente del gruppo neofascista Lotta nazionale, ritenuto il responsabile della morte proprio di Stefano Guerra.
Dietro le sbarre, Ravel ripercorre nella sua mente gli anni tra il 1968 e il 1971, la formazione all'odio e alla battaglia politica del camerata friulano Stefano Guerra.
Odio verso la borghesia, odio verso gli americani, odio verso questo stato nato dal tradimento dell'8 settembre:
"Il capitalismo è già morto. Il capitalismo morirà. C'è una feroce isteria nell'aria, basta osservare l'odio fra le persone, le invidie, i valori infinitamente meschini che scatenano odi ancora più meschini. C'è qualcosa nell'occidente che crea odio: odio nell'università, nel teatro, tra i giovani di destra e di sinistra , nella musica rock, negli autostoppisti, nel sesso, nei film. Odio davanti a un caffè e odio alle feste di compleanno. [..] Il dio Wotan si sta risvegliando. Il dio delle tempeste e degli inganni".
Pagina 13
Stefano, con un padre morto e la sola madre casalinga alle spalle, arriva a Roma grazie all'aiuto di Rocco (una specie di patrigno). E il libro parte proprio con gli scontri di Valle Giulia , dove neofascisti e rossi combatterono a fianco contro la polizia (quella foto di gruppo di cui anche Rao aveva parlato nel suo saggio) e dove Stefano compie il suo primo battesimo di sangue, uccidendo Mauro, fratello di Antonella, una ragazza di cui in seguito si innamorerà.

A Roma, grazie all'incontro con Revel, Stefano fa il suo ingresso dentro il mondo dell'estrema destra. Quell'Arcipelago, la galassia di groppuscoli di destra, vicini all'MSI ma decisi ad alzare il livello dello scontro fino al sangue e alla morte.

Il faccia a faccia tra Ravel e Guerra:
"Questi studentelli credono di essere rossi, o comunisti o quello che vuoi. Ma non hanno né la disciplina né la volontà dei comunisti veri. I comunisti veri fanno paura. Questi sono barzellette. Non vogliono creare una società nuova e un uomo nuovo. Non vogliono distruggere la borghesia. Vogliono solo più libertà di scopare e di campare sulle spalle degli altri. Vogliono essere più borghesi dei borghesi. Tutto qua. Stanno scrivendo pagine bianche del libro della storia. Anche se dal punto di vista tattico sembrano maggioritari, da quello strategico sono sconfitti, è solo questione di tempo. Allora, al momento opportuno, interverremo noi. Perché la nostra politica non è legata ad ideologie che si corrodono nel volgere di due minuti o di cinque anni. Noi facciamo politica antropologica. Dare e ricevere. Combattere e vincere. Occhio per occhio. Breton dice che il primo atto surrealista è scendere per strada e sparare per caso ai passanti. Si sbagliava. E' il primo atto realista. Noi ci fermiamo un passo prima del gesto, quando ancora si articola la parola. La rabbia ci sarà sempre e noi siamo la prima risposta politica alla rabbia. Noi siamo sempre quelli che non scompariranno. Quelli che ci saranno sempre.
Stefano pensava di conoscere tutti i modi in cui un uomo può essere sorpreso dalla violenza, ma ecco che arriva una combinazione imprevista. Parole. Parole dure come pallottole.
Franco si liscia i baffi con l'indice.
- Ricordi come inizia la letteratura europea?
- Omero? L'Iliade.
- Certo, questo lo sanno tutti. Ma come inizia l'Iliade?
- L'assedio di Troia.
- Ricorda meglio, i versi esatti.
- Cantami o diva del pelide Achille l'ira funesta ...
- Ecco, proprio questo: l'ira! - gli occhi di Franco si illuminano. - La nostra letteratura, la letteratura occidentale, la cultura che ci nutre fin dalle intime fibre, inizia con l'ira di Achille, con la rabbia. La rabbia come pulsione fondamentale, come motore della storia. Tutto parte con la rabbia di Achille, il guerriero la cui fama brucia i secoli, e tutto ritorna alla rabbia....
- Alla rabbia?
- Sì, pensaci. Come finisce il ciclo? Dopo l'Iliade c'è l'Odissea, e alla fine dell'Odissea, dopo i pellegrinaggi per il mar Egeo, c'è Ulisse che ritorna alla sua terra, al sangue del suo sangue, e , sconvolto di rabbia, fa strage dei proci, i pretendenti di Penelope. Cadono uno dopo l'altro. Quanti ne ammazza? Ricordi l'arco, le frecce, i cadaveri e la fame inestinguibile di morte? Cosa prova Ulisse, se non rabbia? Rabbia perfetta, covata per anni, che viene sputata dalle frecce come veleno e come farmaco. Achille e Ulisse, i due eroi europei, due cani rabbiosi."
pagina 44-45

La rabbia, la ferocia, la determinazione lo porteranno a diventare un capo carismatico del gruppo udinese dell'arcipelago e si verrà coinvolto in traffici di armi, azioni di guerriglia contro i cinesi.
In contatto col gruppo trevigiano dell'arcipelago e con quello milanese.
Fino ad arrivare alle bombe: le bombe contro i treni e le banche, emblema dello spostamento dei borghesi e del loro denaro.
Siamo nell'estate autunno del 1969: la bomba è quella di piazza del Monumento, che dovrebbe essere solo dimostrativa e che invece, per un inganno fatto a Stefano e al suo gruppo, diventa una strage.
A questo punto, tutti quei morti iniziano a pesare: Stefano, non crede più né ai richiami dell'arcipelago, né dei suoi capi e inizia una sua fuga. Una fuga da tutti i fantasmi che si è lasciato dietro (Mauro, i suoi amici con i quali ha fatto un patto di sangue sulla frana del Vajont, la bambina morta per la bomba di Milano). Una fuga che lascerà dietro una scia di sangue e violenza. Fino agli estremi del mondo, nella Terra del fuoco, dove finalmente, raggiungere la pace.

La realtà e la finzione.
La legge dell'odio è un romanzo forte e avvincente: non nasconde nulla del fascino velenoso della violenza nera, degli ideali che hanno nutrita tanti ragazzi degli anni di piombo. Gli ideali di virilità, dell'onore, la mitologia nordica (di cui si era impossessato anche Himmler con le sue SS), il fascismo.
Difficile non intravedere dietro i fatti narrati da Garlini tanti episodi tragici della nostra storia: tutto si svolge attorno alla strage di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi.
Dietro Franco Ravel e il suo gruppo di Lotta nazionale si intuisce la figura di Stefano Delle Chiaie e Avanguardia Nazionale, che aveva effettivamente legami con i servizi segreti e gli altri gruppi dell'estrema destra. Effettivamente Mario Merlino (o Morgana), anche lui esponente di Avanguardia nazionale era stato infiltrato dentro i gruppi anarchici romani, di modo da scaricare la colpa sui rossi (come Pietro Valpreda, il ballerino che divenne il mostro per la stampa) per quelle bombe che avrebbero dovuto stabilizzare il paese in senso fascista.
Come era avvenuto in Grecia, come era avvenuto in Portogallo.

E' tutto raccontato in modo estremamente realistico:
anche l'ambiguo rapporto che si instaura tra rivoluzionari neri e stato: "sono loro a usare noi o siamo noi a usare loro?" . Dove per loro si intende il gruppo di potere attorno alla Democrazia Cristiana e quella parte dell'MSI che fingeva di non vedere la violenza estremista alla loro destra, la parte dei servizi in contatto con questi gruppi criminali (il gatto e la volpe, nel libro, come in Romanzo Criminale erano zeta e pigreco), i carabinieri che fingono di non vedere i traffici di armi di questi ragazzi...
Un sottobosco dove si mescolano e confondono i complotti golpistici, le ambizioni personali, i vizi e le violenze e anche
“i conflitti generazionali tra uomini d'ordine e giovani rivoluzionari, tra vecchi reduci di Salò e i giovani "lupi azzurri" , adepti del guru dell'esoterismo nazifascista Evola che vogliono mostrarsi migliori dei vecchi nostalgici, nel culto di un ideale perverso di virilità. «Forse l'intera stagione di volontà rivoluzionaria, di violenza, nasce da una mancanza di scappellotti dei padri sui figli» pensa Stefano in un passaggio-chiave: la mancanza, o la patetica inadeguatezza, dei "padri" - a destra come a sinistra - percorre tutto il libro, fino alla scoperta del trauma originario di Stefano, colpo di scena rivelato nel finale.” [Benedetta Tobagi su repubblica]
Garlini da una sua ricostruzione della storia, che è l'aspetto più intrigante del libro: a fianco di alcuni personaggi reali (Pasolini, Moro), ne compaiono altri più o meno inventati, più o meno riconducibili a persone vere (Meneghello Feltrinelli, Sperelli e Salgari che ricordano Freda e Ventura, Mangiamonti Rauti ..).
L'autore da anche una interpretazione della strage di Piazza Fontana: la doppia bomba con gli anarchici usati come capri espiatori di una strage che doveva essere dimostrativa. Sposta la strage di Peteano a ridosso di Piazza Fontana per accentuare la sua finalità di depistaggio, o “
distrazione” per togliere l'attenzione dalla pista nera.
Ma è l'aspetto umano che nel libro è in primo piano:
Garlini ci immerge negli aspetti più sconcertanti della psiche del protagonista. Stefano, pur combattuto, è incapace di arrestare la sua caduta in una spirale di violenza, per un'atroce perversione del senso d'onore e d'integrità. Ancora più disturbante, il giovane pluriomicida e complice in strage si sente un combattente, un puro, quasi un innocente. Solo nel grembo di infinita compassione della poetessa cilena Cesarea, amica, amante e madre (non a caso una vittima del golpe cileno), ricompone la scissione, assume le proprie responsabilità e consegna la sua autobiografia-confessione a un notaio: un accenno di lieto fine che nella realtà, purtroppo, non è mai dato. ”

Due considerazioni finali: se la prima parte del libro è il suo punto di forza, la parte centrale, col viaggio in Afghanistan, l'incontro con Chatwin sono quella meno convincente, troppo pesante e lunga.
E, ancora: il libro affronta solo in parte il ruolo del palazzo, del potere, i servizi deviati. Sarebbe servito, per dare un quadro più completo della storia, anche alzare lo sguardo dalla periferia a Roma.

La scheda del libro sul sito dell'Einaudi; qui un estratto del libro.
Qui è riportata la recensione di Benedetta Tobagi su repubblica.
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